Sono stato al convegno organizzato dall’0sservatorio ICT & Management della School of Management del Politecnico di Milano in cui è stato presentato in collaborazione con Netcomm “L’eCommerce B2c in Italia: una crescita che sfida la crisi”
La mattinata è stata presentata dal Prof. Umberto Bertelè e dal Prof. Andrea Rangone.
Ecco un breve sunto degli spunti più interessanti che ho colto.
Il primo a parlare è il Prof. Roberto Liscio che fa una breve ma interessante introduzione.
Vi è una correlazione lineare tra il PIL di una nazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie. L’Italia è l’unica nazione che ha un PIL superiore alla diffusione della tecnologia. Questo purtroppo significa che o si adegua in breve tempo o è destinata a recedere pesantemente.
In Italia si registra un forte ritardo da parte delle imprese. La maggior parte di quelle che fanno e-commerce sono Dot Com. I produttori tradizionali non sono presenti e non hanno convertito in digitale la loro offerta.
Un esempio è il turismo dove una delle possibili cause della profonda crisi del settore può essere dovuta al fatto che nel nostro paese solo il 10% ha una offerta online contro il 25% medio dell’Europa e il 50% medio degli USA. Altrettanto può dirsi per il Made in Italy: basti pensare che l’export via e-commerce ammonta a 850 milioni di euro contro un import di 1.850 milioni di euro con un disavanzo di circa un miliardo di euro. Questo probabilmente è dovuto a una cultura vecchia che affligge le nostre aziende. Nei decenni passati hanno avuto paura ad innovare per non inimicarsi i piccoli commercianti e anche adesso hanno paura di perdere il canale e così non investono sul digitale.
In Italia su 26 milioni di persone connesse, ben 18 milioni si informano su Internet prima di acquistare ma solo 6 milioni poi effettuano un acquisto online. Accusiamo un forte digital devide: in Francia gli acquirenti sono la metà di quelli che si informano, in UK circa 2/3, in Italia un terzo appena.
Questo nonostante il fatto che l’e-commerce sia il canale con il più alto livello di soddisfazione – vicino al 100% – anche se permangono difficoltà soprattutto per quanto riguarda gli aspetti logistici (da una indagine EUrisco condotta invece sugli utenti finali, a differenza di quella dell’Osservatorio B2c che si concentra sull’offerta).
Nei prossimi mesi l’osservatorio porterà in giro per l’Italia un vero e proprio road show in cui toccherà molti piccoli centri industriali per diffondere il digitale e distribuire un piccolo vademecum. Inoltre presenterà presto un sigillo NetComm (Facile, Conveniente, Sicuro) che potrà esporre chi aderisce ad un meccanismo di autoregolamentazione e al codice etico di Netcomm. Questo ovviamente per dare trasparenza all’e-commerce e abbattere la diffidenza ancora presente nel nostro paese.
Dopo qualche parola del Prof. Bertelè inizia l’intervento di Alessandro Perego e Riccardo Mangiaracina che presentano un compendio dei risultati della ricerca giunta quest’anno alla sua ottava edizione. Obiettivo della ricerca è fare un punto della situazione per quanto riguarda il lato dell’offerta (le aziende dunque) e per ricavare strategie e modelli di business per affrontare il nuovo canale.
Il fatturato dell’e-commerce è stato stimato sommando al fatturato dei maggiori player quello evinto da un survey su un campione dei piccoli e poi calcolando le opportune code.
Dinamica del mercato
Dal 2000 al 2006 il mercato è cresciuto mediamente del 40 percento all’anno mentre negli ultimi due anni (2007 su 2006 e 2008 su 2007) si è assestato su poco più del 20% essendo entrato in una fase più matura. Tali tassi di crescita sono allineati con quelli europei.
Il fatturato complessivo è di circa 7 miliardi di euro, poco meno dell’1% del retail pur avendo raggiunto in alcuni settori numeri ragguardevoli (es. il 10% turismo è oramai online).
I settori che sono cresciuti maggiormente sono stati turismo (+28%), abbigliamento (+43%) e musica ed editoria (20%) per gli altri la crescita è stata inferiore alla media.
Interessante notare come in Italia il 70% dell’e-commerce sia attribuibile ai servizi (turismo, ricariche telefoniche, ticketing e assicurazioni) e solo il 30% ai prodotti (informatica ed elettronica 9%, abbigliamento 4% editoria e musica 2% e grocery 1%). Nel mondo off line il consumatore spende mediamente l’80% per prodotti e solo il 20% per i servizi.
Lo scontrino medio si mantiene attorno ai 250 Euro.
Per quanto riguarda i player, i primi 20 operatori fanno circa il 75% del fatturato. Di questi 18 si occupano di servizi e solo 2 di prodotti (eBay e Abbigliamento). Interessante notare come la Grande distribuzione sia totalmente assente, a parte pochissimi casi, dal mercato dell’e-commerce in Italia. Le Dot Com sono oltre la metà del mercato anche se si inizia a intravedere un leggero cambio di tendenza più per il rallentamento delle Dot Com che per la crescita di quelle tradizionali.
Solo il 12% delle aziende della GDO alimentare – in diminuzione rispetto al 2003 – ha un sito di e-commerce (in pratica la sola Esselunga). Per quanto riguarda la grande distribuzione non alimentare il 27% (+50% rispetto al 2003) delle aziende ha un sito di e-commerce anche se spesso di carattere sperimentale (IKEA, COIN, Mercatone UNO).
Il confronto con l’estero (Riccardo Mangiaracina)
200 miliardi di euro in USA e 170 miliardi di euro in Europa pari a circa il 7% delle vendite retail.
Il mercato inglese (80 miliardi di euro) vale 10 volte tanto quello italiano, quello francese (21 miliardi di euro) 3 volte tanto il nostro e quello tedesco ammonta a 37 miliardi di euro.
All’estero la ripartizione tra servizi e prodotti non è così sbilanciata come in Italia.
Segnali di speranza arrivano dall’abbigliamento che nel corso del 2007 ha aperto store online e dall’editoria che sta percorrendo la strada del Web 2.0 mediante, non solo siti di e-commerce, ma anche attraverso blog e Facebook oltre a iniziare a evidenziare i propri feed RSS per mantenere aggiornati i consumatori.
Ultima notizia di cui sono riuscito a prendere nota è quella che si riferisce alle frodi online che sono, checché certa stampa disfattista voglia far apparire, tutto sommate marginali (0,2% delle vendite).
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